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Arte e dintorni

 

Se ben ricordo fu Gesualdo Bufalino, maestro assoluto di arte letteraria, a scrivere che la letteratura è una sommatoria di plagi e gli scrittori si trasmettono messaggi l'un l'altro come le tegole si fanno scorrere l'acqua sopra.

A me, assai più modestamente, ritorna l'idea dei vasi comunicanti.

Come che sia è l'Arte, in tutte le sue manifestazioni – pittura, scultura, musica, letteratura ... - a dominare il cuore dell'uomo, perciò a regalargli emozioni forti e a far da cinghia di trasmissione fra le generazioni.

Non appartengo alla schiera fortunata degli artisti e non ho quelle cognizioni tecniche per essere un critico di una o più discipline artistiche.

Ho comunque un animo sensibile e un cuore tenero che tende ad essere di burro anziché di pietra.

È uno dei doni fattomi dai genitori, i veri miei maestri di vita che sopravvivono in me in costanza di ricordo, di esempio, di conforto. Punto ineludibile di riferimento.

Ho avuto, e ancora di quando in quando si manifesta, il vezzo, che è vizio (benedetto, maledetto: chi può saperlo?) di scrivere pagine di prosa e talora anche versi. Questi di getto, ispirati (mai costruiti) e trascritti così come germinati dal cuore, senza il filtro della mente. Per lavare l'animo e anche per appagare un malcelato desiderio di maggior durata, facendone dono agli amici, affinché siano essi, veri destinatari del messaggio, i lettori della pochezza dei miei scritti da consegnare alle fiamme della purgazione, prima che il tempo, inesorabile, tutto cancelli, anche la memoria di chi ricorda e di che è ricordato, anch'essi di breve durata.

Gli è che quando mi accade di buttar giù qualche verso avverto una strana sensazione. Una perdita di contatto con la realtà, un levitare, come essere in trance.

E quei momenti sono appaganti, identificativi di una diversa vita, un sognare e vedere insieme, il percepire una esistenza non reale, il fermarsi del tempo, la mancanza dello spazio.

Analoga sensazione mi coglie quando mi trovo al cospetto di un'opera d'arte. La lettura dei versi di Montale, l'ascolto di una sinfonia di Beethoven, la visione di un quadro di Picasso, una scultura di Michelangelo, il piacere di stare al centro della Cappella Sistina con lo sguardo alla volta.

Non una vera sindrome di Stendhal, sia chiaro, ma un coinvolgimento di emozioni che mi coglie fino a travolgermi.

So di non essere solo in questo stato emozionale e perciò di stare in buona compagnia, ma so che questo è il bello dell'arte.

Gli anni scorrono più veloci dell'acqua nel ruscello, e nella regola della natura, unica legge inflessibile, mutano tante cose.

Al piacere della bellezza goduta attraverso il fisico si sostituisce quella dello sguardo e della mente e ciò che è bello e si muove diventa fisso e si pietrifica nella memoria . E attraverso essa si ripete, si rinnova, dura assai più del momento effimero e sensoriale del contatto della pelle.

La pietra è dio e non sa di esserlo e il fatto di non saperlo la determina in quanto tale, scriveva bene Corrado Sofia.

Ecco quindi che la bellezza si sostituisce alla divinità.

Ho scritto versi come fatti d'aria e qualcuno li ama, ho letto da qualche parte. Qualcheduno ha mai amato i miei? Ma è pur necessario che siano amati ovvero non è meglio che siano soltanto stati scritti?

Due anni fa al M.o.M.A. di New York  fra le tante opere d'arte moderna ivi custodite mi colpì particolarmente il noto ritratto di Marilyn Monroe realizzato da Andy Warhol. Avrà magari influito la collocazione in un pilastro al centro di un enorme spazio ed anche la notorietà che attirava molti visitatori.

Al fornitissimo negozio interno al museo acquistai, pagandola pochi dollari, una stampa di quell'opera per farne dono a Mario Zuppardo, il mio caro amico pittore (oltre che collega di professione).

Disattendendo il suggerimento di mia moglie Arcangela, consegnai a Mario la stampa nella busta dell'acquisto con lo scontrino datato, sapendo che il superfluo fa parte dell'essenziale.

La busta contenete lo scontrino difatti sta ancora appesa alla parete della sua fucina d'artista, ubicata a Noto, la città della malía, nella via Cavour, parallela al corso principale dove passeggiandovi nelle sere d'estate sembra di stare nel set di un cinema.

L'ora migliore per bussare alla porta in antico legno di Zuppardo è quella tarda della notte. M'è accaduto, insonne, alle ore tre o quattro, di averlo trovato con una canottiera inzuppata fradicia di sudore. Li c'era il frutto di quella carica di tensione emotiva il cui esisto artistico era riversato sulla tavolozza portante un'opera appena ultimata piena di colori sgargianti e di ingegnosa creatività.

Uno stereo acceso con un CD di musica sinfonica – Zuppardo ha una competenza tale da riconoscere le differenze non soltanto fra una esibizione di Von Karajan, Furtwängler, Toscanini, Muti, Abbado, Maazel, ma addirittura fra una direzione o l'altra – gli è la sola, gradita compagnia. Si, gli da carica in quella anarchia equilibrata che è la sua fucina d'arte creativa: colori, pennelli, sedie, tavoli, quadri alle pareti, chiodi, chiavi, cianfrusaglie di ogni genere e specie.

Tutto comunque ha una sua logica e l'avventore, seppur provandoci, non riesce a individuare una sola cosa, anche minuscola, che possa essere tolta da quella piacevole gioia per gli occhi che lo fa sentire dapprima un intruso, ma poi un benvenuto in quel luogo che non tarda a catturarlo non meno di quanto già abbia fatto l'artista che vi dimora.

Zuppardo ha innata l'arte della pittura.

Ha esordito – sulle spalle ben cinque lustri – , con carboncini portanti volti e luoghi di Sicilia e con uno in particolare “Gli innamorati”, che in copia ha fatto il giro d'Italia, trovandosi ora allocato nelle pareti di studi e di case anche di personaggi illustri, e del quale ho scritto, essendo un lavoro che nella sua semplicità di pochi tratti ispirati di getto racchiude la vera essenza della vita.

Poi ha avuto, evolutivamente, altri periodi, dedicandosi ai colori e anche all'arte moderna, traendo spunto da tecniche, colori, soggetti di grandi artisti per farne una rivisitazione in chiave personale fino a creare un'opera nuova avente a fondamento una traccia altrui.

Questo quarto periodo forse – almeno a me così piace immaginare – è conseguenza di quella stampa di  Andy Warhol fattagli dono da me due anni or sono.

Volti di donne, ragazze soprattutto – mia figlia Mariagrazia fra esse: graditissimo prezioso dono di nozze – con colori, sguardi, immagini, interpretazioni veramente unici, che forse il tecnico potrà spiegare, ma il lettore di quella policromia artistica, qual è chi scrive, ne subisce incantato il fascino.

E poi anche rielaborazioni policrome dei mosaici della Villa del Tellaro e dei Paladini di Francia in versione da affidare non alla scrittura, che pur merita e comunque non identificativa dell'opera, ma solo ai propri occhi e al governo della propria mente, mentre il cuore pulsa forte e il coinvolgimento emotivo sale velocemente fino a trovare salvezza nel distogliere lo sguardo dal quadro per portarlo in un altro, dove, puntualmente, ricomincia il rituale.

Pochi passi più avanti, nel settecentesco palazzo Astuto, un locale a pianoterra nel vasto cortile, adeguatamente restaurato come all'origine, contiene la mostra permanente dell'artista, dove, se non è al lavoro professionale, si può trovare Zuppardo, ma soprattutto si trovano alle pareti le sue più recenti opere, pronte a catturare l'avventore di turno.

Fu con lui che a Roma in piazza di Spagna visitammo la casa-museo di De Chirico.

                  Il terzo piano, enorme, contiene le sue opere collocate alle pareti. All'ingresso il televisore in bianco e nero che ad audio spento il Maestro vedeva seduto nella poltrona fumando il sigaro o la pipa.

                  Il quarto piano è dedicato alla stanza da letto della terza moglie, nata in Russia, mentre uno sgabuzzino, proprio le dimensioni di un loculo, porta il lettino dove lui si riposava, quasi a comunicare che il sonno in vita è l'anticipo di quello eterno e così va gestito.

                  Le scale conducono alla soffitta dove un lucernario dal tetto porta la luce alla fucina del Maestro, ancora intatta come lui l'ha lasciata: il camice grigio sulla sedia, i colori, la tavolozza, due grandi volumi di pittori celebri …

                  Dopo andammo al Caffè Greco, locale di interesse storico, a pochi passi, in via Condotti e sedemmo al tavolo dove De Chirico tutte le mattine faceva colazione e dove al turista che gli si rivolse “saluti Maestro …”, rispose “Ma io non la conosco e poi non le ho insegnato nulla”.

                  De Chirico, come parecchi uomini famosi, era scorbutico, si sa.

                  Fabrizio De André evitò di incontrare, per non averne delusione, il Maestro al quale era  ispirato all'inizio della carriera, Georges Brassens, l'anarchico cantautore francese.

                  Anche a noi – Zuppardo e io appunto – accadde di incontrare nella sua casa di Comiso Gesualdo Bufalino il 12 agosto 1991. Ho scritto di quell'incontro. Leggere le sue opere era, è, un'altra cosa.

                  Per fortuna non sempre è così. Corrado Sofia, netino, aveva vissuto a Roma dove faceva il giornalista, lo scrittore, il regista. Aveva conosciuto tutta l'intelligentia letteraria del Novecento e ne era la memoria storica. Negli anni Trenta aveva girato tanto: l'Africa, i Balcani, la Russia, la Cina … Nella veneranda età era tornato a vivere a Noto nella collinetta di Serravento dove aveva una antica villetta circondata da un enorme parco pieno di piante e anche di alberi secolari. Un posto splendido.

                  Zuppardo ed io lo conoscevamo bene e ogni volta che andavamo a trovarlo era festa grande. Ci riceveva come persone di famiglia, figlioli direi. Era saggio, buono, umile, disponibile, come si conviene agli uomini veri.

                  Ogni tanto con l'auto ci inerpicavamo su per la strada e per la trazzera che conduceva a Serravento. Dopo un caloroso abbraccio, d'inverno sedevamo sulle poltrone davanti il camino acceso. Fernanda, la sua compagna inappuntabile, ci serviva i biscotti di mandorla nel vassoio d'argento e il caffè nelle tazzine di limoges. Nella stagione estiva sedevamo gustando il sorbetto d'anguria nel terrazzino su poltroncine in ferro battuto dipinte di bianco e adornate da cuscini azzurri. Da lì godevamo di un panorama unico, ma soprattutto della presenza di Sofia.

                  Corrado era un fiume in piena. Ci raccontava della sua vita, dei suoi incontri, dei suoi amici, di tutta la letteratura dell'epoca. Le nostre interruzioni gli servivano da stimolo ulteriore mentre s'aggiustava il foulard al collo. E parlavamo, parlavamo, parlavamo.

                  Andavamo carichi di stress, ma tornavamo rilassati, appagati. Era bello.

                  Così è l'Arte: si vendica della vita e sopravvive a se stessa.

                                                                                                                                             Giovanni StellaGiovanni Stella
 
Di chi è il mio corpo? Libertà di cura,
eutanasia, testamento biologico

Canicattini Bagni (SR)
Sala consiliare del Comune, via P. Iolanda h. 18:30
"Di chi è il mio corpo? Libertà di cura, eutanasia,
testamento biologico, ddl Calabrò".
organizzato da Associazione Physis
Parteciperanno: Mina Welby (dirigente associazione Luca Coscioni),
Beppino Englaro (socio Consulta di Bioetica di Milano),
Salvatore Amato (membro del Comitato Nazionale per la Bioetica),
Dott. Maurilio Carpinteri (responsabile del Centro di Rianimazione dell'ospedale Umberto I di Siracusa)

 

copertinaBruno Ragonese (a cura di)
LA FAUNA DEGLI IBLEI
Atti del Convegno su
“Fauna degli Iblei”
(Noto, 13-14 maggio 1995)

2007, 8°, pagine 432, ill.
10,00 acquista

INDICE
Introduzione al tema
MARCELLO LA GRECA Origine della fauna iblea
Il patrimonio faunistico ibleo
GIOVANNI PILATO Gli invertebrati
CONCETTA TIGANO e VENERA FERRITO I Pesci delle acque interne e di estuario
GIUSEPPE FABRIZIO TURRISI Gli Anfibi e i Rettili
CARMELO IAPICHINO L’avifauna
BRUNO RAGONESE e LONGINO CONTOLI La mammalofauna
Fauna e ambienti iblei
GRAZIA CANTONE Fauna bentonica delle coste
ROBERTO BASSO Primi documentati casi di schiusa sul litorale del mare Adriatico di Tartaruga comune (Caretta Caretta) con l’ausilio di unità cinofile
ERMINIA CONTI, GIOVANNI COSTA e ALFREDO PETRALIA Antropodi degli ambienti sabbiosi costieri
REINHARD GERECKE e GIORGIO SABELLA La fauna delle sorgenti e delle acque correnti
PIETRO ALICATA La fauna delle cave: i perché di una tutela
DOMENICO CARUSO e ROSARIO GRASSO La fauna delle grotte

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